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Storie residenti: Giovanni

Sei anni fa, Giovanni ha lasciato Arzachena. Non è stata una sua scelta, ma la vita lo ha portato altrove, lungo un percorso fatto di luoghi, incontri, partenze e ritorni che non sempre ha compreso fino in fondo. Oggi vive nella residenza Agape di Quartu. “Dopo tanto viaggiare, qui ho trovato una mia dimensione.”

Le Residenze Agape, infatti, sono luoghi di accoglienza per chi, come lui, ha bisogno di una casa, di una comunità in cui non sentirsi soli, di una famiglia. E lui, in un certo senso, è diventato parte del tessuto di questa realtà.

Giovanni si muove con naturalezza, conosce tutti gli ospiti ma anche il vicinato, ha sempre una parola per chi arriva, è una sorta di catalizzatore di anime. “Qui non siamo semplici ospiti, siamo una famiglia. Ognuno ha il suo carattere, ognuno ha i suoi problemi, ma ci siamo. Questo conta.”

La sua voce si abbassa quando parla di ciò che c’è stato prima. “Ho vissuto in diverse comunità. A Ortacesus ci sono stato un anno, avevo qualche amicizia… ma i servizi sociali di Arzachena mi hanno mandato da Agape, anche perché la mia situazione familiare non mi permetteva di stare a casa.” Si ferma un attimo, sembra voler aggiungere qualcosa, poi scuote la testa.

Nel suo racconto emergono ricordi sfumati, immagini di persone che, con piccoli gesti, gli hanno reso il cammino meno faticoso. “Ad Ortacesus c’era quello che vendeva il caffè… me lo offriva ogni tanto”. Sembrava niente, ma è affetto. Nei momenti difficili, quando ci si sente perduti, è tanto. Il barista del paese, le chiacchierate leggere sul calcio, i film, i discorsi con Samuele e con il portinaio della struttura. “Quando non era in servizio, parlavamo un po’… anche questo mi aiutava.”

Quando è arrivato alla residenza Agape, non sapeva cosa aspettarsi. “Prima ero in una struttura per anziani, ma non potevo più stare lì. Qui invece ci sono persone dai 18 ai 65 anni… io ne ho 57 appena fatti”. Sorride, ma gli occhi si velano di un’ombra leggera.

Ricorda ancora quel primo giorno. “Quando ho varcato la porta della casa di via Verdi, mi sembrava tutto strano. Mi aspettavo vecchietti, invece no. Finalmente c’erano persone della mia età. E poi le stanze belle, la terrazza con il sole, la festa musicale con il dj … all’inizio, lo ammetto ero spaventato. Un posto nuovo, doversi rifare una vita. Ma poi, piano piano, ho trovato serenità.”

Giovanni è una persona socievole. Si avvicina agli altri con naturalezza, con curiosità. Non ha mai avuto problemi a stringere nuove relazioni, a scambiare parole con chiunque. “A me piace parlare. Quando incontro qualcuno, scambio sempre due chiacchiere. È bello conoscere le persone, sentire le loro storie”. Da quelle parole resta sempre qualcosa.

Le sue giornate scorrono in un ritmo preciso, un’abitudine che dà sicurezza. “Mi sveglio alle 8:10, faccio colazione. A pranzo si mangia alle 12:30. Abbiamo i turni per pulire il bagno, la stanza, lavare i piatti. Io sono il segretario e il referente per la raccolta differenziata… ma non cucino!” Si illumina un po’ quando parla però di piatti. “La pasta alla carbonara è quello che più amo!”

Nel pomeriggio, se può, esce al bar. “Vado da Lello, mi piace stare lì. Parlo con Enrico, il proprietario, con Tony il barista, ma anche con le ragazze dietro al banco. Mi conoscono, mi ascoltano.” E poi c’è il calcio. “Sempre il calcio.” La sera cena, un po’ di televisione, e poi a dormire prima di mezzanotte.

Ha iniziato anche un corso di teatro. “È faticoso, per ora faccio la comparsa. Dovrei interpretare un supereroe… magari Superman.” Ride, ma poi si fa più serio. “Non lo so se sono un supereroe… però a tutti piacerebbe essere salvati, no?”

Ha provato anche a cantare, ma abbassa lo sguardo. “Mi vergogno, non faccio il corso. Preferisco cantare sotto la doccia.” Sorride.

Nei momenti difficili, sa che può contare su qualcuno. “Quando sto male, parlo con Francesca, la psicologa. Con Andrea, il coordinatore. A volte esco, cammino. Mi fermo dal meccanico sotto casa… si chiacchiera. Mi offre un caffè, mi dà una mano. Tutti qui mi assistono.”

Gli occhi gli si riempiono di luce quando parla di un piccolo sogno, un viaggio. “Tornare a Pisa. Ci ho vissuto da piccolo, a dieci anni. Andavo a scuola lì e visitavo i monumenti. Son salito sulla Torre di Pisa, era bellissimo vedere il panorama. Mi piacerebbe rivederlo.” Si ferma, guarda un punto lontano.

E poi c’è stato quel giorno ad Arzachena. “Con Nicola l’autista siamo tornati per la morte di mia mamma.” La voce gli si spezza. Resta in silenzio, si passa una mano sul viso.

Recentemente, alla residenza Agape è arrivato un ragazzo giovane. “Non vuole stare.  Anche stamattina ho provato a parlarci. Mi ha fatto tenerezza. Gli ho detto di avere pazienza.”

Alla fine, quello che ha imparato Giovanni in tutti questi anni è una verità semplice, ma profonda. “Che la vita è bella. Che vale la pena provarci. Che bisogna fidarsi.” Poi sorride, un sorriso di quelli che portano dentro un po’ di malinconia. A volte basta un gesto. Un gesto particolare… e quel gesto cambia qualcosa.

Quando gli chiedi quale sia la colonna sonora della sua vita, non ha dubbi. “Vita spericolata… Albachiara. Quando posso, la ascolto e la canto!”

E il futuro? “Vorrei continuare a stare qui, sempre in Agape. Prendendo un caffè… anzi tre o quattro. Con lo zucchero”. Ride, questa volta senza malinconia. “Guardo anche il fondo della tazzina. Ogni tanto mi fa indovinare quel che accadrà”

Giovanni saluta tutti, con lo sguardo perso nei pensieri che sono riapparsi da questa chiacchierata. Come chi ha vissuto tanto e troppo, ma ha ancora qualcosa da aspettare. Chissà, magari di bello.