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Storie residenti: Pierpaolo

“Era il 2017 quando mi sono trasferito in una residenza Agape. Ero senza dimora, ma prima ancora vivevo a casa di mia zia, ma la situazione era diventata difficile”. Pierpaolo Benossa, volto furbo, carnagione scura e occhi brillanti, racconta il segmento di tempo tra passato e  passato. Non è mai scontato che sia facile riportarlo alla memoria.

Conflitti e discussioni insanabili, un logorio che consuma tutti, come il sangue che scorre nelle vene di una vita impossibile da vivere, parafrasando una canzone di Renato Zero.

Poi è arrivata la luce, sotto forma di una proposta: “Un giorno, l’assistente sociale e la psichiatra mi proposero di valutare la possibilità di andare in un posto tranquillo, dove avrei potuto cominciare un percorso di riabilitazione. Accettai senza esitare”.

I nuovi inizi, quelli in cui il tetto cambia da un giorno all’altro, insieme ai risvegli, agli odori e ai rumori, non sono facili. La vita viene rivoluzionata in poche ore. Valigie, effetti personali e il proprio corpo che insieme alla mente devono abituarsi a spazi sconosciuti, trovando gli equilibri.

“All’inizio è stato complicato. Cambiare abitudini e ambiente mi ha fatto sentire un po’ di malinconia, non lo nego. Gli operatori e i coordinatori di Agape mi hanno aiutato molto. Mi hanno seguito con pazienza e dedizione, facendomi sentire meno solo. Grazie a loro ho iniziato a trovare un po’ di serenità”.

Monica, la coordinatrice, è stata una figura fondamentale. Ancora oggi, Pierpaolo nutre una gratitudine speciale nei suoi confronti, vedendola come un angelo che non lo abbandona mai: “Mi segue in tutto, dalle medicine alla dialisi, fino alle piccole cose quotidiane di cui ho bisogno”.

La vecchia casa è ormai un ricordo. La nuova, una residenza di Agape, è un luogo colorato, pulito e diverso, con tutto l’amore e la professionalità dello staff della Cooperativa. “La mia stanza è diventata il mio piccolo rifugio, un luogo ordinato e accogliente dove mi sento finalmente al sicuro. Ricordo la prima notte: ero rilassato per la prima volta dopo tanto tempo, avevo una grande voglia di riposarmi e fare bei sogni”.

Quei sogni, quell’equilibrio che si ricompone come un vaso rotto che viene riparato. Non sostituito, ma riparato. Nuova vita, proprio come avviene nella pratica giapponese del Kintsugi, che utilizza lacca e polvere d’oro, argento o platino per saldare le fratture, rendendo le cicatrici parte integrante della bellezza dell’oggetto. Dietro il Kintsugi si cela la filosofia del wabi-sabi, che celebra l’imperfezione, la transitorietà e la bellezza di ciò che non è perfetto. Le cicatrici, invece di essere nascoste, vengono messe in risalto, rendendo ogni persona unica e preziosa.

Anche Pierpaolo sente questa unicità e vuole condividerla con gli altri. “Non mi sento mai in disparte. Con gli altri residenti ci aiutiamo a vicenda, condividiamo storie e ci sosteniamo nei momenti in cui c’è meno voglia di fare qualcosa”. Come con Andrea, un altro ospite, che il giorno del suo arrivo gli chiese: “Come mai sei qui?”. Cominciarono a parlare, e Pierpaolo comprese che “tutti noi abbiamo un passato complicato, ma anche una forza inaspettata per andare avanti e provare a ripartire”.

Questo non significa rompere i legami con le proprie radici: “Nonostante tutto, continuo a sentire la mia famiglia, specialmente mia zia. Anche se in passato ci sono stati conflitti, so che mi vuole bene. Mi ha detto: ‘Ricorda sempre che casa mia è casa tua. La porta è sempre aperta’. Quelle parole mi confortano. Pierpaolo sa che quel vaso, alla fine, si sta ricomponendo.

Le giornate in Agape seguono una routine semplice ma rassicurante: “Mi occupo della mia stanza, la pulisco, la sistemo, cucino, faccio le pulizie e chiacchiero con gli altri residenti. Esco a farmi delle lunghe passeggiate, saluto le persone, chiacchiero. Ogni tanto andiamo in gita o a mangiare in agriturismo. Sono momenti speciali, che mi fanno sentire parte di qualcosa di bello”.

Pierpaolo sente di avere tutto ciò di cui ha bisogno, e le feste sono un’occasione per consolidare quel senso di appartenenza: “Organizziamo cene e momenti di allegria. A Natale sono rimasto in Residenza. Sai che siamo stati invitati in agriturismo? abbiamo ballato, cantato e ricevuto dei regali. Non ho mai sentito nostalgia, perché questo posto mi fa sentire amato”.

Una sfida personale  in più che racconta, consapevole di doverci convivere, è la dialisi. “Fa parte della mia vita da 15 anni. È un percorso difficile, con scadenze e visite, ma qui mi sento seguito e curato. Gli operatori si impegnano per garantirmi tutto ciò di cui ho bisogno”. Poi ci sono i suoi spazi e le sue passioni: “Quando posso, cerco di rilassarmi ascoltando musica. Mi piacciono le canzoni degli anni ’60, ’70 e ’80, ma anche quelle napoletane. La musica mi aiuta a ritrovare la calma e a sorridere”.

Quel sorriso è vivo e sincero, anche quando pensa al futuro e immagina piccole gioie: “Vorrei rivedere Sinnai, dove vive mia zia, salutare i parenti e prendere un caffè con loro. Sono anni che non ci vediamo, e sarebbe bello riabbracciarli”.

“Fidatevi di loro” conclude. “Quando la vita va a rotoli, Agape è un porto sicuro. Non manca mai un sorriso, un gesto di conforto o una parola gentile. Sto bene, davvero. Non me ne voglio più andare. So che ho trovato il mio posto, nonostante tutto”. Quel vaso rotto ora risplende di una nuova armonia