Storie Residenti: Gabriel

Gabriel viene da lontano, ma la sua casa – oggi – è la Sardegna. Quando lo incontri, ti accorgi subito che ha uno sguardo particolare. Non è quello di chi ha avuto tutto facile, ma di chi ha imparato a mettersi in ascolto della vita e, nonostante tutto, a volerle ancora bene e a fare qualcosa per gli altri.
«Sono arrivato in Italia da piccolo. Ero stato adottato, ma dentro mi portavo tante domande: chi sono davvero i miei genitori? E i fratelli? I parenti? Nessuno mi dava risposte chiare. Tante cose me le raccontavano, altre le indovinavo guardando fuori dal finestrino di un treno».
Ha frequentato scuole pubbliche e private tra Cagliari e i Salesiani, e si è diplomato alla scuola agraria. Non è mai mancato lo sport: la capoeira, che praticava, ma anche il basket, che è continuato oggi con Aurora Basket. «Mi ero iscritto come aiutante allenatore, ma poi ho deciso di giocare. Anche se ho paura quando tiro, perché mi sono fatto male a un braccio tempo fa e il pensiero ritorna!»
La sua vita è piena di spostamenti. Ha vissuto prima in una comunità per minori nel cagliaritano, poi in quella per maggiorenni. «Il mio percorso formativo era finito, ma i documenti non arrivavano e non potevo iniziare a lavorare. Ero stanco. Con i miei cari discutevo spesso, volevo solo che capissero cosa provavo. Andare via mi ha fatto bene. Ho respirato, riflettuto sui miei casini e ho iniziato ad aiutare anche gli altri. È stato un passaggio importante».
Nel 2018, un altro capitolo: cinque anni fuori dalla Sardegna, in una comunità più rigida. «Le regole erano tante, non si poteva uscire, ma mi piacevano i laboratori, quello sul riciclo per esempio. E ho conosciuto molti ragazzi sardi, con cui ho legato. Anche fuori dalla mia isola, la Sardegna non mi ha mai abbandonato».
Poi il ritorno. Estate 2024. «Il dottor Coni mi ha chiesto dove volessi andare. Quando sono arrivato in Agape, ho trovato un ragazzo che conoscevo da Capoterra. È stato bello ritrovarsi. Conoscevo anche alcuni operatori. Speravo ci fosse qualcuno di famiglia, e c’era».
L’accoglienza è diventata partecipazione. «Ho iniziato subito a cucinare per tutti. Mi piace. Mi rilassa. Ho fatto la focaccia con i pomodori, ho imparato a fare il pane guardando un video. Cucinare è un gesto d’amore. Ho fatto regali a tutti, non per obbligo. A me non interessa la ricchezza, mi piace aiutare».
E questa cosa si sente. Gabriel ti ascolta quando parli. Ti guarda negli occhi. Non ha fretta. Partecipa ai laboratori, canta – la sua canzone preferita è Grande Amore de Il Volo – e si prende cura delle piccole cose quotidiane. «Mi sveglio, riordino, faccio commissioni per la residenza: ritiro farmaci, sigarette, porto le torte… Aiuto dove serve. Quando faccio qualcosa per gli altri mi sento bene. È quello che mi fa stare meglio». Aggiunge con semplicità: «Aiuto anche chi ha difficoltà fisiche a vestirsi».
Oggi frequenta anche il Centro di Salute Mentale della città, partecipa alle camminate, visita le librerie, sceglie libri e film. «Mi piacerebbe fare dei corsi, diventare magari assistente alla persona. Voglio fare tirocini, ottenere attestati. Tutti quelli che esistono! E poi, un giorno, chissà».
Con la sua famiglia, il rapporto è migliorato. «Ho già fatto molte giornate di vacanza con loro. Mio padre ora è in pensione. Abbiamo tantissimi parenti… ».
Con il tempo ha incontrato anche un’altra strada: il buddismo. «Da piccolo stavo male con me stesso. Non ero più cristiano, e sentivo che mi mancava qualcosa. Una persona che conosceva la mia storia mi ha parlato del buddismo. Da lì ho iniziato a ragionare, ad accettarmi, a risolvere i problemi. Mi ha insegnato a stare meglio».
Questo è Gabriel, con la forza silenziosa di chi non si è arreso, e la dolcezza ruvida di chi ha imparato che anche il dolore può trasformarsi in gesto d’amore. Nei suoi racconti trovi verità che spesso gli adulti evitano: accettarsi è difficile, aiutare è più facile. E forse è proprio per questo che aiuta tutti.
Ci ricorda che nessun percorso è dritto, e che ognuno costruisce la propria casa dove sente di essere visto.
Quando arriva la domanda su dove si veda tra cinque o dieci anni, sorride. «Non lo so. Vivo il presente, senza pensare al resto. La vita è degli altri».
Gabriel non sa dire dove sarà, ma noi sappiamo che ovunque sarà, ci sarà qualcuno che lo ricorderà per un gesto gentile, un piatto cucinato o una parola detta al momento giusto. Perché chi vive pensando agli altri, lascia sempre una traccia, anche quando crede di passare in silenzio.