Storie residenti: Sandro

“Sono Sandro. Una volta ho rischiato di rimanere paralizzato a vent’anni, era il 2005. Un incidente brutto. Ma sono ancora qui. Ne sono successe tante, troppe forse, eppure non mi sono mai tirato indietro quando si trattava di aiutare gli altri.”
Sandro ha vissuto una vita fatta di cadute, e ogni volta ha trovato la forza di ripartire. Nel 2005, a vent’anni, un incidente rischiava di costringerlo per sempre su una sedia a rotelle. Ma il corpo ha retto. E lui, che fin da ragazzo ha conosciuto la sofferenza, non si è mai stancato di tendere la mano agli altri.
Poi, nel 2019, è arrivato il momento più duro. Il 15 dicembre è morto suo padre. La compagna era già malata e terminava i suoi giorni, e nel giro di pochi mesi Sandro ha perso anche due amici stretti, un cugino e un riferimento spirituale importante, un sacerdote molto conosciuto e amato in città. A quel dolore si è aggiunta l’instabilità: niente casa fissa, nessun tetto stabile. Senza famiglia, senza amore. È passato dai frati alla Caritas, da B&B temporanei all’auto, con l’assistente sociale che si adoperava per trovare una soluzione. Ha dormito per mesi in macchina, arriva in Agape e poi gli è stato assegnato un amministratore di sostegno tramite il comune di residenza.
Sandro parla senza giri di parole. Parla con semplicità, senza cercare compassione, come chi sa bene quali sono i propri limiti. E quali sono, invece, i pregiudizi che gli altri ti caricano addosso. “Non ho nulla attorno a me ora, solo me stesso”, racconta. Senza stabilità economica ed emotiva, è difficile sopravvivere davvero.
Quando si apre il capitolo Agape, nel 2020, negli occhi di Sandro si accende una luce diversa. “Devo tantissimo a loro. Principalmente al boss, così chiamo Annalisa. È più di una dottoressa. Ha visto in me qualcosa che andava oltre il bisogno di essere accolto”. L’ingresso nella casa di Quartu segna una svolta. “Ho iniziato ad avere una sensazione positiva: mi son messo a cucinare, a cucire, a stirare. So fare tante cose, ma non chiedetemi di riparare i motori!”
L’educazione familiare gli ha insegnato il valore del lavoro e della cura. Ma anche a stare attento. “Quando ero più giovane ho imparato a guardarmi bene dalle frequentazioni sbagliate. Se non ci fai caso, ti portano lontano da te stesso.”
Ogni tanto torna là, su quel vicolo cieco. Una grande storia d’amore, finita nella malattia. “Undici anni di convivenza, cinque belli, poi sette difficili. Diabete, cancro. Ho fatto da infermiere, l’ho assistita. Ho dato tutto quello che potevo.”
Dalle ferite, eppure, qualcosa è rinato. “Quando ti riconoscono una patologia, è come se all’improvviso apparissi aggiustato e strano. Ma nemmeno un computer è perfetto. Alla fine conta solo quello che dai, anche se non saprai mai se ti torna. È karma.”
Dentro Agape ha creato una nuova dimensione: prima come residente, poi anche come assistente, svolgendo piccoli incarichi come accompagnatore. “Era strano vedere una persona che vive in casa fare anche l’assistente. E io ci credo davvero. Agape vuol dire amore.”
La sua energia è contagiosa, ma non sempre facile da gestire. “Punto sempre al lavoro, ma a volte devo frenare l’entusiasmo. La psicanalista me lo dice sempre: Sandro, rallenta. Perché poi ci rimetti tu. E io lo so, ma quando sento che posso aiutare, non riesco a stare fermo.”
Le sue giornate sono piene: ascolta musica classica, lavora per gli altri, sogna di formarsi ancora e seguire corsi nel campo dell’assistenza. La sua voce si addolcisce quando racconta della compagna che ha oggi. “Ha studiato, è colta. Mi stimola a migliorare. È una presenza importante. Mi dà forza.”
Scrive anche poesie e chissà prima o poi avremo la fortuna di leggerle.
La vita per Sandro è questa: un giorno alla volta. Un piccolo gesto dopo l’altro. Un “Vagabondo che non sono altro,” come cantavano i Nomadi. Cercare di non cadere. E se succede, sapere che si può sempre ripartire con le proprie forze. L’ha imparato tanto, troppo.