Storie residenti: Maurizio
“Stavo male, ero all’ospedale di Is Mirrionis e poi sono approdato qui in Agape. Non conoscevo Annalisa e la sua Cooperativa”.
Maurizio racconta la sua storia con la semplicità di chi ha imparato a guardare in faccia la propria sofferenza analizzandola minuziosamente. Ogni parola fa parte di un incastro più grande, fatto di giorni che si sovrappongono come strati di una pelle che ha imparato Pian piano a rigenerarsi, nonostante il sale nelle ferite.
Il sole, come Maurizio, si alzava ogni mattina e poi, con la stessa regolarità, calava la sera. Giorni che all’inizio sembravano interminabili, lenti come la sabbia che scorre in una clessidra, si sono trasformati in anni. Tanti anni. Dentro quel lustro ci sono state urla che riecheggiavano nei corridoi, fughe improvvise, isterie che scattavano come trappole emotive. Poi c’è anche stata crescita, una lenta e dolorosa trasformazione che Maurizio non cerca di mascherare e sa bene che lo accompagna in questo presente.
“Sto meglio,” dice, con un tono che non lascia spazio a dubbi. Non è la dichiarazione trionfante di una vittoria definitiva, ma piuttosto la consapevolezza di chi sa che il benessere è uno stato temporaneo, un risultato momentaneo di un percorso che continua. C’è un prima e c’è un dopo, e Maurizio lo sa bene. “Stavo attaccato a mamma e papà e vivevo un’altra vita.” Un’affermazione che racchiude un mondo di dipendenze emotive, di legami che si avviluppavano come radici troppo profonde, trattenendolo in un passato che ormai sembra lontano.
La pazienza è diventata la sua compagna di viaggio, una virtù che Maurizio ha imparato a coltivare giorno dopo giorno. Ci sono le giornate difficili, quelle in cui “non va come si vorrebbe”. E ci sono i momenti di luce, intervallati da ombre che tornano come vecchi fantasmi. “Metà e metà,” dice Maurizio, descrivendo la sua riabilitazione. Un equilibrio precario tra la parte medica e quella personale, una danza delicata tra il supporto esterno, fatto di dialoghi, azioni e farmaci e la forza interiore.
Maurizio ha imparato a osservarsi, quasi fosse un testimone esterno della propria vita. “In questo periodo ho bisogno di una revisione dei farmaci,” dice con la lucidità di chi ha compreso l’importanza di un’autodiagnosi continua. È come un meccanico che ascolta il motore della propria mente, capace di capire quando qualcosa non va e pronto a intervenire per sistemare ciò che può essere migliorato.
E poi ci sono i sogni. Sogni che corrono veloci come le auto che Maurizio amava guidare. Sognava di essere un pilota, di vivere la vita a tutta velocità, di sentire l’adrenalina che scorre nelle vene mentre il tachimetro sale vertiginosamente. Se avesse potuto scegliere, sarebbe stato Niki Lauda, l’uomo che ha sfidato il fuoco e la morte, un simbolo di resilienza e forza. “Quando ha vinto il titolo iridato nel 1975 è stato come un Mondiale di calcio.” In quelle parole c’è tutto l’amore di Maurizio per la velocità, per la competizione, per quel senso di libertà che solo un volante tra le mani può dare.
Ma la corsa si è fermata, bruscamente, e Maurizio si è ritrovato a fare i conti con una nuova realtà. La precarietà mentale ha imposto uno stop forzato, una necessità di cura e riabilitazione che lo ha portato ad Agape. Qui ha trovato una nuova velocità, quella del recupero lento ma costante, scandito dalla musica e dal canto. “Anche un motore ha la sua musica, la sua melodia, bisogna ascoltarla.” Ora la sua vita è un concerto di note e rombi, un mix di Vasco, Battiato e i Pooh, che lo accompagna in questo nuovo percorso.
Si sente uno di quegli “Uomini soli”, come nella canzone dei Pooh, che alzano gli occhi al cielo in cerca di risposte. Rivede la scena degli Spari sopra di Vasco. “Lui non ha voluto,” dice, riferendosi a quel cielo muto e distante, attribuendogli una volontà che forse non ha mai avuto. La sua malattia, una peste moderna, lo ha colpito. Ma Maurizio lotta ogni giorno contro quella peste, con la determinazione di chi non vuole arrendersi, di chi cerca nella sua casa Leopardi di aprirsi un nuovo posto nel mondo. Fa bowling, esce a passeggiare e parla. “Voglio migliorare, voglio far bene, mi intestardisco ma non voglio essere un peso per gli altri.”
Il rapporto con i genitori è stato complesso. Simbiotico con mamma, sempre presente, un porto sicuro, più complesso con il padre. Questa divergenza non ha spento la sua voglia di vivere, di lottare, di cercare un senso in mezzo al caos. “Devo sempre andare in salita”: Maurizio ingrana la prima e fa di necessità virtù. Saperlo è già un passo avanti rispetto a restare fermi.
E così, ogni giorno Maurizio si alza come il sole, affronta la sua battaglia con la “peste”, guarda al cielo e continua il suo cammino, cercando di trovare un equilibrio tra nuove luci e vecchie ombre.